Ognuno di noi è su questa terra per uno scopo. Spesso cadiamo nella trappola di credere di non avere le capacità giuste, di non valere abbastanza, di non avere talento. La nostra vita può apparirci insignificante, inutile e crediamo che la nostra presenza qui non sia importante.
Tutte le antiche tradizioni di saggezza mettono l'accento sull'importanza che ogni singolo individuo riveste per l'insieme a cui appartiene. Non siamo separati da ciò che ci circonda, bensì esiste un' interconnessione tra tutte le cose, dimostrata anche dalla fisica quantistica. Ognuno di noi ha un talento unico da portare nel mondo e ogni singola vita contribuisce alla realizzazione di un piano più grande.
Forse quando si osserva la vita di un calciatore dalle umili origini come Pelé, viene automatico pensare che il suo successo sia stato di grande aiuto per la sua famiglia d'appartenenza, ma quasi certamente non è altrettanto automatico immaginare che questo successo sia stato fondamentale per la salvezza di un intero Paese.
E' il 1950, il Brasile ospita la VI Coppa del Mondo, la squadra arriva in finale ma viene sconfitta dall'Uruguay.
Per il Brasile è un dramma, viene proclamato il lutto nazionale. Tante erano le aspettative del popolo brasiliano che sperava in un riscatto del Paese attraverso la vittoria dei Mondiali, ma da questo momento il calcio rappresenta il grande fallimento nazionale.
Accusati di essere stati sconfitti per il loro stile calcistico definito primitivo, i brasiliani si convincono di dover adottare lo stile europeo e cominciano a soffrire del complesso d'inferiorità.
Il drammaturgo Nelson Rodrigues scrive: " Abbiamo doni in eccesso. Ma una cosa ci frena e invalida le nostre qualità. Alludo a quello che potrei chiamare " il complesso dei vira-latas ", quello di inferiorità in cui il brasiliano si colloca volontariamente rispetto al resto del mondo. In tutti i settori e soprattutto nel calcio".
"Dico", così veniva chiamato Pelé da bambino, all'epoca aveva 9 anni e quel fatidico giorno fa una promessa a suo padre :" Non essere triste papà. Vincerò una coppa del mondo per te".
Già da allora l'interesse di Pelé per il calcio è evidente, ma date le sue origini di estrema povertà, è costretto a lavorare come lustrascarpe e la sua passione calcistica resta chiusa in un cassetto come un sogno irrealizzabile.
A 15 anni, però, viene notato da un talent scout, entra nella squadra del Santos e nel 1958, solo un anno dopo, viene convocato come titolare nella Nazionale. Il sogno sembra diventare realtà, ma la sua impronta stilistica è la ginga del tanto disprezzato stile primitivo, per cui gli viene imposto di uniformarsi al raffinato, a detta di tutti, modello di gioco europeo.
Ma cos'è la ginga? E perché è così demonizzata?
La ginga è il passo base della capoeira, metodo di combattimento sviluppato dagli schiavi africani deportati in Brasile durante il colonialismo portoghese. La capoeira nasce per consentire agli schiavi di liberarsi dalla prigionia, quindi viene magistralmente dissimulata sotto forma di danza o di gioco per non destare sospetti agli occhi dei padroni.
Nel 1888 la schiavitù viene abolita, ma a causa dei problemi di integrazione razziale, molti schiavi sono costretti a darsi al crimine per sopravvivere.
La capoeira è usata durante gli scontri contro le forze dell'ordine e diviene sinonimo di criminalità. Viene bandita in tutto il paese nel 1892 per ritornare legale solo nel 1940. In questo lasso di tempo trova una nuova forma di espressione attraverso il calcio.
La tanto famigerata ginga rappresenta, il dono, il talento, la forza di Pelè, ma la credenza così radicata di un intero Paese che non riconosce la propria singolarità, anzi se ne vergogna e impone un modello alieno, lo fa vacillare. Si crea una profonda distonia tra un sentire dettato dalla propria interiorità e un agire richiesto dall'esterno, che porta Pelè alla convinzione di non essere un bravo giocatore e a pensare di abbandonare il calcio.
Pelé è nato in ottobre, mese 10.
In numerologia, il numero del mese di nascita determina le prove che si devono affrontare per arrivare alla realizzazione del proprio progetto nel mondo.
Il numero 10 rappresenta l'energia creativa che si manifesta nella materia.
Il numero 1 è il numero del leader che agisce nella fisicità e lo 0 è il numero del potenziale creativo, quindi il 10, nel suo talento, rappresenta la capacità di portare nella vita fisica la propria unicità.
La sfida del 10 è quella di sviluppare la self leadership, in quanto lo 0 toglie il coraggio all'1 e causa problemi di dipendenza.
Quando si è sotto l'influenza dell'energia di questo numero, il rischio è quello di dare maggiore importanza alle opinioni degli altri più che alle proprie, di cedere il proprio potere agli altri, di perdere la fiducia in se stessi e nelle proprie capacità, di riconoscersi solo attraverso gli occhi altrui.
Tutti sanno, anche chi non è appassionato di calcio, che Pelé giocava con la maglia numero 10, numero che non scelse lui ma che gli venne attribuito da un tecnico della Nazionale, quasi a voler rafforzare l'importanza dell'energia di questo numero nella storia del giocatore. Inoltre fu da Pelé in poi che la maglia numero 10 divenne simbolo di maglia dei campioni.
Dopo un momento di crisi, Pelé fu capace di servirsi dell'energia più alta del 10. Con grande coraggio scelse di credere nel suo talento e di portare la sua ginga in campo, risvegliando la ginga dormiente di tutti i suoi compagni e conducendo la squadra alla vittoria. Ma non fu solo la vittoria di un uomo o di una squadra, bensì quella dell'intero Brasile che riscopriva la bellezza della sua unicità e iniziava uno dei periodi di emancipazione più importanti della sua storia.
" Fu la nostra differenza a renderci belli"; così "O Rei" commentò quella vittoria.
Troviamo il coraggio di portare la nostra bellezza nel mondo.
Boa sorte!
Quello che noi facciamo
è solo una goccia nell'oceano,
ma se non lo facessimo
l'oceano avrebbe una goccia in meno
MADRE TERESA DI CALCUTTA
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